Il suo nome scientifico è Laurus Nobilis ed è molto diffuso nel bacino del Mediterraneo.
A tale pianta si collega uno dei miti più conosciuti dell’ età classica: la storia dell’ amore incompiuto tra Dafne ed Apollo di cui ci narra Ovidio ne Le metamorfosi e poi anche Apuleio, sempre ne Le metamorfosi o L’asino d’oro.
Dafne, ninfa dei boschi, figlia di Gea, la Madre Terra e del fiume Peneo, era una bella fanciulla la cui vita fu stravolta da due divinità: Apollo ed Eros. La mitologia racconta che Apollo, dio del Sole, delle arti e della musica, avesse ucciso il serpente Pitone alla tenera età di soli 4 giorni. Un giorno, avendo incontrato Eros, dio dell’ amore, mentre forgiava delle frecce, lo derise non avendo lui mai compiuto imprese degne di gloria. Allora Eros, colto dalla rabbia, si recò sull’Olimpo e qui meditò vendetta: prese 2 frecce, la prima di piombo e spuntata, che lanciò nel cuore di Dafne, era destinata a respingere l’amore e la seconda, ben appuntita e dorata, lanciata nel cuore di Apollo era destinata a far nascere l’amore. Da quel momento Apollo follemente innamorato di Dafne cominciò a cercarla nei boschi e finalmente trovatala, prese a rincorrerla dichiarandole il suo amore. Dafne spaventata dall’ insistenza e non interessata al suo amore, correva disperatamente per sfuggirgli. Ma il correre non era sufficiente perchè Apollo incalzava ed allora lei invocò l’aiuto della madre la quale, rallentando la sua corsa fino a fermarla, trasformò il suo corpo in un albero di alloro-Dafne in greco significa alloro-: i suoi capelli divennero fronde e foglie a coprirgli il suo bel volto, le braccia levandosi verso il cielo, si mutarono in leggeri rami, il suo corpo sinuoso si ricoprì di corteccia e i piedi si tramutarono in radici. Apollo di fronte a ciò resto’ impotente.
Scrive Ovidio nelle Metamorfosi (I, 555-559): «Apollo l’ama, e abbraccia la pianta come se fosse il corpo della ninfa; ne bacia i rami, ma l’albero sembra ribellarsi a quei baci. Allora il dio deluso così le dice: “Poichè tu non puoi essere mia sposa, sarai almeno l’albero mio: di te sempre, o lauro, saranno ornati i miei capelli, la mia cetra, la mia faretra».
Pianta a lui sacra, egli la volle rendere sempreverde, ponendola come simbolo di immortalità, di gloria e prestigio da porre sul capo degli uomini capaci di imprese ardue; simbolo di vittoria sia nelle guerre che nello sport, cosi come nelle gare poetiche fino a diventare attriibuto imperiale. In latino la corona è detta Laurus o Laurea da cui deriva il termine moderno laurea e laureato. Sin dall’antichità classica, tale corona veniva posta anche sul capo di chi aveva completato gli studi. Molte volte la corona era composta da rami e bacche: da qui il termine baccalaureato.
Una tradizione questa giunta sino a noi!